Etnopuericoltura

Le cure e le attenzioni che le differenti popolazioni dedicano alla gestante, alla puerpera e al bambino sono spesso testimonianze di empirica razionalità, non solo per  le applicazioni, come le piante galattogene, o per scopi pratici, come le fasce puerperali, le modalità per portare i bambini…, ma soprattutto per la capacità di  condurre l’avvenimento nascita da un fatto individuale a un fenomeno di coinvolgimento sociale.

– Estrema importanza viene dato all’allattamento al seno, a questo scopo numerose sono le sostanze galattogene e galattagoghe utilizzate dalle donne di differenti popolazioni.

– Il modo particolare di portare i bambini presso molti gruppi umani, a gambe divaricate (sulla schiena della madre, o sul fianco, o sul davanti), quindi con gli arti inferiori in flessione e abduzione, spiegherebbe la rarità della lussazione congenita dell’anca fra le popolazioni che seguono questa usanza. Sembrerebbe una vera e propria profilassi tendente a ottenere arti ben conformati e atti alla deambulazione.

Continua

– La placentofagia consuetudine di dare alla puerpera pezzetti di placenta, variamente preparati, per agevolare la formazione e la quantità della secrezione lattea. Oggi la consuetudine è ancora comune presso alcuni gruppi etnici. Come è noto la placenta é un organo ricco di ormoni galattogeni per cui la pratica empirica é perfettamente giustificata.

Diffusione della “paura della luce. Le popolazioni melanoderme hanno intuito l’azione nociva della luce solare, ricchissima di raggi infrarossi e attinici, sul tenero organismo del neonato, ancora privo della naturale difesa, data dal pigmento cutaneo, che appare circa otto-dieci giorni dopo la nascita e arriva al grado di intensità dei genitori, in media, dopo sei settimane. Da ciò l’abitudine africana di tenere i bambini subito dopo la nascita per circa otto, dieci giorni e anche molto di più come in Abissinia, nell’angolo maggiormente oscuro della capanna, evitando nella maniera più assoluta di esporli prima alla luce diurna.

–  Il taglio del cordone ombelicale a placenta uscita. La consuetudine tradizionale, che è quella di tagliare il cordone ombelicale a secondamento avvenuto, persisteva, più o meno diffusa, in tutta Italia.
Questo procedimento è comunemente seguito dalle popolazioni che vivono ancora ligie alle pratiche tradizionali. Con questa pratica si utilizza, a vantaggio del neonato, il sangue residuo placentare, circa 80-90 cm3.
Antonio Guerci

Estratto dal volume di Antonio Scarpa “Itinerario per la visita al Museo di Etnomedicina – Collezioni Antonio Scarpa”, Erga edizioni, Genova, 1994.

Le culle nel mondo.
L’usanza di fasciare i bambini é antichissima e proviene, per qualche gruppo etnico, dall’uso della slitta, trasformatasi poi, per i popoli divenuti sedentari, nella culla attuale.
L’area della culla comprende l’Europa, l’Australia settentrionale, l’Asia centro-settentrionale, l’Indonesia (con posizione orizzontale), l’America settentrionale, centrale ed andina (con posizione verticale).
Presso le tribù dell’America boreale, Athabasca e Algonchina, i bambini lattanti venivano trasportati in speciali sacchi di scorza di betulla o di pelle, foderati di pelliccia e di muschio, chiamati mossbag, sul dorso delle loro madri. Era la forma di culla a paniere o a sacco verticale comune in America. Gli Indiani delle praterie trasformarono questa culla, fissandola ad una specie di lettiga di assicelle di legno che veniva o portata, pure verticalmente, sul dorso della madre o appesa alla sella del cavallo o fissata al suolo. La posizione verticale del bambino un tempo era ottenuta anche in Europa (Francia) attaccando ad un chiodo al muro un sacco con dentro il neonato fino al collo. Queste popolazioni, escludendo quelle che seguono i dettami della moderna puericoltura, tengono i bambini immobili e fasciati fino a una certa età.”

Bibliografia di Puericoltura e Ostetricia

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Indumenti per bambino cinese

Cina (1963)
Cotone e flanella

 

 

Statuette di madri senegalesi

Senegal (1982)

 

Recipiente a forma di fallo

Egitto (1950)
Terracotta

In Egitto il recipiente, riempito d’acqua con una candelina accesa,  viene posto accanto al neonato maschio per festeggiarne la nascita.

Statuetta di donna che allatta

Fasciatura tradizionale di bambino in Perù

 

Perù (1960)
Terracotta

Statuetta di donna peruviana che allatta tenendo in braccio un neonato stretto nella fasciatura tradizionale

 

 

Statuetta di donna che allatta

 

Messico (1965)
Ceramica policroma

Statuetta in ceramica (stile Jalisco, Messsico Occidentale) di donna che allatta.
Sia la donna che il bambino portano un copricapo a spirale. 

 

Rappresentazione dell’Universo azteco

 

Messico (1965)
Lana e cotone su bastoncino di legno

Per approfondimenti segnaliamo alcune osservazioni in proposito del prof. Juan Luis Ramirez Torres dell’Universidad Nacional de Toluca, Messico.

 

 

Continua

“El objeto pertenece a las culturas CORA y HUICHOL contemporáneas, y se le conoce como “ojos de dios”; esos dos pueblos habitan en los estado de Jalisco y Nayarit al Noroccidente de México; si bien su lengua, no estoy seguro, pertenece a la familia lingüística Uto-Azteca, poco tienen que ver con los Aztecas antiguos; los estudios de la época prehispánica suelen dividir al territorio de lo que actualmente es México y Centroemérica en dos grandes regiones económica, ecológica, y culturalmente: MESOAMERICA y ARIDOAMERICA, los aztecas habitaban en Mesoamérica, los huicholes entre Mesoamérica y Aridoamérica. SIN EMBARGO, LA división en CUATRO puntos MAS un CENTRO, efectivamente se corresponde con la división del universo que tenían los aztecas, aunque esta visión era compartida por los aztecas no le era exclusiva ya que por igual otros pueblos mesoamericanos (mayas, zapotecos, etcétera) compartían esta cosmovisión. Efectivamente los colores tienen un sentido en esta división, pero asociados con los cuatro colores del MAÍZ: rojo, blanco, negro y amarillo, cada uno se correspondía con el oriente, el poniente el “norte” y el “sur”, PERO, como se puede ver en la foto, esta división no coincide con la de los “ojos de dios”, la cual combina los colores (blanco, negro, rojo y amarillo) agregando el ROSA. La razón de esto obedece a que el manejo del color particularmente entre los huicholes es especialmente rico e intenso cromáticamente.
“Un ‘ojo de Dios’ equivale a un año en la vida de un niño y cada año, después de su iniciación en la Fiesta del Tambor apenas recién nacido, su padre debe elaborar uno más -a efecto de que siempre esté protegido- hasta que cumpla cinco años. Estos amuletos se juntan para integrar un ‘árbol cósmico’ que al finalizar la cuenta se echa al mar en un lugar sagrado que los wirrárikas tienen en San Blas.”
Los colores entre los huicholes quedan asociados a sus experiencias rituales bajo los efectos del peyote.
La forma se corresponde con los cuatro puntos cardinales y el centro de origen mesoamericano
El número cuatro se corresponde con los cuatro puntos cardinales.
“el significado de los llamados “Ojos de Dios” (Tzicuri) tan presentes en la cultura huichol. Les cuento. Los cinco rombos que contiene un “Ojo de Dios” hacen referencia a los cinco lugares sagrados para los huicholes (Aramara, Wiricuta, Jaurra Mánaká, Rapa Willeme y Teekata). Cada huichol cuenta con su propio “Ojo de Dios”, el cual lo comienza a confeccionar su papá con ocasión de su nacimiento y queda completado a los cinco años de edad (cinco rombos).”
El numero se relaciona con los años cumplidos por el niño
La forma muy cercana a la cruz, tanto de los “ojos de dios” como de otros casos en la cultura mesoamericana (Cruz de Palenque en la cultura maya, por ejemplo) obedece al sincretismo entre la noción precolombina de los cuatro puntos cardinales que coincidió con la cruz cristiana, fusión simbólica que en mi opinión (en parte esto lo traté en mi tesis doctoral) obedece a la noción universal del PLANO TERRESTRE el cual se asociascon el número CUATRO, a los números impares y al ámbito profano (cruz: cristo: dios en la TIERRA: Segunda Persona de la Santísima Trinidad, por ejemplo). Sin embargo, los ojos de dios no poseen entre los huicholes un culto directo a la cruz en su significado cristiano ni católico.
LA MADRE Y PADRE HUICHOLES LO USAN COMO PROTECCIÓN PARA LOS NIÑOS y PARA EVITAR riesgos durante el crecimiento.”

Sacchettino contenente un cordone ombelicale

 

Messico (1965)

Sacchettino contenente un cordone ombelicale, trovato sul Sacro Monte Amecameca.
Per proteggere il neonato il cordone ombelicale, che avrebbe anche virtù curative, viene posto in sacchettini tra le radici o sui rami di alberi vicini a chiese. Vengono inoltre esposti abitini o parti di essi.

 

 

Cappelli

 

Ghana (1986)
Vegetale

Cappelli di materiale vegetale a larghe tese portati in Ghana per proteggersi dal sole.

Il sole ha una grande importanza come causa di malattie, ma anche come agente terapeutico.
Citiamo alcune credenze tra le innumerevoli registrate da A. Scarpa.

 

 

Continua

“Per i Pigmei dell’Africa equatoriale la febbre può essere provocata anche da un colpo di sole e gli Abissini dell’altopiano attribuiscono al sole molti malanni e lo temono assai quando sono indisposti o convalescenti. Cercano, quindi, di proteggersi più che possono dai suoi raggi e dalla luce troppo intensa.
Di parere diverso sono invece i Malgasci, i quali per curare il paludismo ricorrono anche all’esposizione del malato al sole, dopo avergli unto il ventre con grasso.

Nell’isola di Sri Lanka si crede che il sole controlli la testa e quindi produrrebbe cefalee e febbri che possono portare l’individuo a rapida morte.

Per sol na cabeza, presso i volghi del Brasile, non si intende solo l’insolazione, ma anche le cefalee in generale, dovute, secondo la credenza, ad una lunga esposizione alla luce solare. Il trattamento è a base di benzeduras (preghiere) e ricorrendo alla pratica del bicchiere d’acqua tenuto capovolto sulla testa, come per trattare le cefalee dovute alla Luna.
I Guayana dell’Alto Paranà, invece, si espongono ai raggi del Sole per curare i reumatismi.

Una consuetudine diffusissima in tutto il mondo, specialmente presso le popolazioni melanoderme, è quella di tenere il bambino appena nato al riparo della luce del sole, per un periodo più o meno lungo. Anche portando il bambino all’aperto, la madre, in certi luoghi, si preoccupa di ricoprirlo interamente per ripararlo. In Africa i Dagari, i Lobi e i Bobo usano particolari culle di vimini, munite di un coperchio che portano sul capo e dove rinchiudono i bambini. In Messico il bambino viene completamente avvolto in uno scialle (rebozo) e in Guatemala gli si copre interamente la testa con una grandissima cuffia.”
 
Bibliografia:
– Scarpa A., 1971. La biometeorologia vista da un etnoiatra. Congr. Intern. di Climatologia Lacustre, Como, Relazione.

Cuffia di lana

America Latina

 

Guatemala (1969)

Cuffia con cui la madre copre interamente la testa del suo bambino, fino al collo, per difenderlo dal malocchio.

 

 

 

Jebe

Chiamato osso bambino

 

Guinea Bissau (1957)

Jebe è il feticcio della gravidanza e dell’allattamento.
È composto da un osso di bue ornato con perline multicolori, monete e medagliette; esso viene vezzeggiato, portato e curato come fosse un vero bambino.

 

 

 

Breve o abitiello

Amuleti in tessuto ricamato per la protezione dei neonati

 

Italia (metà XX secolo)

Breve o abitiello, amuleti di carattere religioso che si mettono addosso ai neonati affinché abbiano protezione.
Provengono da varie città italiane.

 

 

 

Corteccia di pampula

Bombax buonopozense P. Beauv.

 

Africa occidentale (1957)
Vegetale

Nell’Africa Occidentale si ritiene che la corteccia di pampula (Bombax buonopozense P. Beauv.) faciliterebbe la crescita dei denti ai bambini.
La pampula è un albero feticcio dell’Africa. La corteccia di quest’albero (e di varietà affini) è caratterizzata dalla presenza di numerose escrescenze, a guisa di grossi denti, che occupano la sua superficie esterna.
Per questo è stata adottata per far crescere i denti ai bambini (concetto magico-simbolico). Essa viene usata per frizioni sulle gengive e per os, in decotto.

 

 

 

Zone ove si usava il papavero contro l’insonnia e l’irrequietezza del lattante

 

(1969)
carta

Estratto da: A. Scarpa, “Consuetudini d’interesse nipiologico ed aspetti fisiopatologici”. Minerva Nipiologica. Vol. 19, n. 2, pp. 117-119, 1969.

“…Contro l’insonnia e l’irrequietezza del bambino, il farmaco principe della medicina di famiglia è l’infuso di camomilla (Matricaria Chamomilla L.), usata urbis et orbis, ed a proposito ed a sproposito.
Oltre alla camomilla, ancora è diffusissimo, in tutta Italia (vedi cartina), l’impiego del papavero (Papaver somniferum L.) che, per la sua tossicità, merita di essere preso in attenta considerazione non essendo rari i casi di avvelenamento, talora mortali, di neonati…
…Ad Aosta, Asti, Cuneo, Vercelli, si usa il decotto delle capsule immature private dei semi; a Biella, invece, lo sciroppo nella quantità di due-tre gocce; a Bergamo l’infuso di semi di papavero macinati; a Cremona lo sciroppo di papaverina; a Gorizia ed Udine, infusi, usando i semi a Trento. A Ferrara il papavero viene impiegato, ma non se ne conoscono le modalità; a Modena e Bologna in sciroppo; mentre a Forlì si usa la marmellata. Nella situazione di Ferrara trovasi anche Ascoli Piceno. A Firenze, Pistoia, Arezzo si adoperano le capsule o i petali; a Terni ed a Roma si ricorre tanto al decotto che allo sciroppo, mentre a Benevento e ad Avellino è comune l’infuso, ottenuto dalle capsule. In tutto il Meridione viene impiegata la cosiddetta «papagna», costituita da un succhiotto di pezza che viene imbevuto in varie preparazioni di papavero.
Più particolarmente le segnalazioni del Meridione riguardano: Matera dove si fa una decozione di camomilla con aggiunta di qualche capsula di papavero; Potenza per la quale il modo di somministrazione non viene indicato; Bari dove si usano i fiori di papavero e la «papagna»; Brindisi con l’infuso; Taranto con la «papagna»; Lecce con la «papagna» e il papavero masticato dalla madre e messo in bocca al lattante: Cosenza con la «papagna» e il laudano; Catanzaro con modalità non meglio specificate; Reggio Calabria con la «papagna», il decotto ed il laudano. In Sicilia si ricorre alla papaverina e all’infuso somministrate, a cucchiaini. In Sardegna, infine, specialmente nella zona di Orneri, si usa il decotto delle capsule.
Dopo il papavero, come frequenza, viene impiegato l’alloro (Laurus nobilis L.) sotto forma di infuso delle sue foglie (Salerno. Taranto, Lecce), o di decotto (Aosta, Catanzaro, Reggio Calabria). A Bari ed a Cosenza le foglie di alloro, che devono essere tre, vengono associate alla camomilla…”

Bibliografia
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